Mario Totaro – Totantango (con partitura)

La deformazione, l’ironia, il procedimento alchemico sono presenti già nel titolo, basato su un gioco di parole (“Totar” e “Toten”) che farebbe supporre una connotazione autobiografica e macabra al tempo stesso. La composizione si basa su due arrangiamenti (facenti parte di un vinile del 1968) di due celeberrimi tanghi: “La Cumparsita” e “Jalousie”, arrangiamenti che nulla hanno di genuinamente popolare e che anzi usano le forme appartenenti a quel repertorio come materiale da sfruttare a fini commerciali, contraffacendole completamente secondo i dettami di un’estetica decisamente kitsch. Il senso di Totantango è proprio qui: la tesi è che reiterando e portando alle estreme conseguenze tali atti di violenza sul repertorio (non solo popolare) si giunga fatalmente alla sua morte e dissoluzione. A questo assunto corrispondono puntualmente, nel brano, una serie di procedimenti di progressiva “denaturazione” del materiale musicale che divengono gradualmente sempre più automatici, meccanici, quasi a simboleggiare la crescente “disumanizzazione” del prodotto. All’inizio sembrano solo piccole, gratuite, divertenti deformazioni, ma a poco a poco ci si rende conto che proprio dallo sviluppo e dalla naturale proliferazione di tali “nei” nasce e si sviluppa il “tumore” che causerà la morte dell’organismo infetto. Le stesse funzioni tonali, già aggredite nella prima parte del lavoro, spariscono progressivamente nella seconda, dove gli accordi vengono sempre più interpretati come semplici aggregati di intervalli da manipolare secondo regole ferree ed implacabili. La proliferazione delle “cellule impazzite” conduce ben presto a un climax parossistico, cui fa seguito un’immane esplosione e quindi un lento, inesorabile dissolvimento; nell’ultima parte del brano il materiale dei due tanghi viene come triturato, centrifugato e disperso fino a giungere alla completa estinzione, al silenzio, al nulla. Le citazioni presenti nel testo passano quasi inosservate (da Chopin a Rossini, da Rachmaninov al “liscio” romagnolo, fino alla scrittura donatoniana del finale) e nella loro eterogeneità sembrano alludere a una situazione nella quale i prodotti artistici, sempre più violentati da un sistema che pare seguire solo leggi di mercato, finiscono col perdere totalmente la loro identità culturale. M.T.